giovedì 15 maggio 2008

Radici.

Spense il motore della macchina. Era così stanca. Come sempre indugiò, nonostante il caldo, la schiena ben appoggiata al sedile, godendosi le ultime note della canzone più bella, che arriva sempre, immancabilmente, alla fine del viaggio.
Le valige non erano molte, sparse all'interno della macchina con la leggerezza e l'incuria di un gesto quotidiano, nessuna traccia dell'ordine rituale di chi sancisce con quel gesto l'inizio di una rara avventura o di un atteso riposo. I suo oggetti sparsi sui sedili la guardavano pazienti e sgualciti, dei placidi sancio panza, che riservavano al loro Don Chisciotte una riprovazione rassegnata gonfia di tenerezza.


Una stanchezza antica le rendeva come sempre odiosa l'idea di dover di lì a qualche ora ripetere nuovamente il gesto di dar loro un tetto. Le sembrava che l'intera sua vita fosse fatta solo di valige appoggiate nell'angolo di un pavimento, sul sedile di un auto o la cappelliera di un treno.
Però veder scorrere strade e prati e case al suo fianco, quello era irresistibilmente seducente. Veder cambiare paesaggi. Sfilare alberi e orizzonti, contemplare il sole mentre cala dietro tanti diversi profili, familiari e nuovi al contempo.


Avere un'eterna evanescente meta nella testa, un perenne altrove da desiderare, in cui cercare scampo o rifugio. La sua droga, la sua facile, pusillanime droga. Ma quella era la vita che faceva, che prendeva sempre più i contorni, nella sua fragile testarda testa, di un ineluttabile destino.


Non avrebbe saputo mai immaginarla diversa. Ma la desiderava diversa forse, o meglio desiderava desiderarla, temendo che in realtà non avrebbe mai potuto resisterle.


Ma ora basta elucubrazioni, che ore sono?
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TO BE CONTINUED...

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